Prima di arrivare al nocciolo della questione vorrei cominciare con alcune premesse dalle quali non si può prescindere. Senza addentrarci nei meandri della semantica (o semiologia) cominciamo con il capire che ogni elemento di una composizione visiva, sia essa di matrice editoriale o applicata al web in qualsiasi forma, è un elemento da considerare.

All’interno di un progetto grafico ogni parte ha la sua importanza, fondamentale. Tutti gli “atomi” presenti sono da considerarsi “attori” della scena, concatenati e di uguale importanza, anche quelli che a uno sguardo veloce o poco attento risultano meno fondamentali o addirittura inesistenti. Si, perchè quando si crea una composizione visiva il graphic designer ha un compito specifico: far si che un preciso messaggio arrivi non solo agli occhi ma all’ inconsciodi chi lo sta osservando. Non solo, questo messaggio deve rimanere impresso perchè venga riconosciuto e si fissi nell’immaginario come qualcosa di solido, un elemento chiaro che saremo in grado di riconoscere in futuro. Quando dico che tutti gli atomi sono attori di questa scena intendo davvero tutti, lo spazio compreso. Perchè? Perchè il risultato si ottiene tramite la concatenazione dei fattori presenti.

Per questo sostengo che ognuno di questi ha la stessa importanza e da ognuno di questi dipende il buon risultato, la corretta comunicazione di un messaggio. Viene definito in tanti modi: spazio vuoto, spazio bianco, spazio negativo, assenza di colore; tutti errati. Nella maggior parte dei casi si, è bianco e per alcuni il bianco non è un colore, altro grave errore tecnico e filosofico. Ma lo spazio può essere di qualsiasi colore, o anche non averne, mantenendo comunque la sua fondamentale importanza. Per capire il concetto possiamo prendere ad esempio un’esercizio che può essere fatto con chiunque, che ha lo scopo di far emergere quanto la nostra attenzione si concentri spesso su particolari che nella realtà non sono fondamentali e, a livello filosofico, che la nostra attenzione sia superficiale e a farci ragionare su questo.

Prendiamo un gruppo di persone e un foglio grande, più grande possibile, quasi vuoto (all’apparenza) con un punto nero disegnato in mezzo. Chiederemo al gruppo di persone di descrivere ciò che “vedono”. Possiamo farlo più volte, con gruppi diversi con caratteristiche diverse, il risultato sarà sempre lo stesso: tutti gli elementi del gruppo una volta interrogati useranno la loro creatività per descrivere le più disparate e fantasiose versioni di ciò che “vedono”, quel punto nero. Nessuno si rende conto che in quel grande foglio anche tutto ciò che sta attorno a quel punto ha una storia da raccontare, questo perchè a livello filosofico siamo abituati a osservare le cose con superficialità e perchè una vasta superficie di spazio attorno a quel punto spinge la nostra mente a concentrarsi su di esso. Spinge, fisicamente, svolge il suo ruolo, ne esalta le caratteristiche e ci porta a concentrarci sul punto. Ripensiamo a tutto ciò che ci ha portato fino a ieri a chiamarlo “spazio vuoto”, perchè spazio “vuoto” non è.

E’ un elemento, fondamentale, con una funzione fondamentale e senza il quale qualsiasi altro elemento non avrebbe senso di esistere in una composizione grafica come nella vita. Diamogli la sua importanza, consideriamolo e smettiamo di temerlo tendendo a riempire, per forza, perchè se no “rimane tutto quello spazio vuoto”. Smettiamo di affidarci a preconcetti o di pensare che un grafico sia una persona che usa photoshop e che mette insieme qualche immagine, perchè dietro ogni lavoro c’è pensiero, filosofia, sociologia, analisi, tradotti in spazio, punto e segno.

, ,